I talenti (sprecati) di Big Gav

Due Sei Nazioni vinti con tanto di Grande Slam, 130 punti in Nazionale in 33 presenze, un Tour dei British & Irish Lions, più di mille punti segnati in carriera pur non essendo quasi mai stato il calciatore designato delle squadre in cui ha militato. Numeri spicci, nudi e crudi per cui chiunque abbia mai litigato con il rimbalzo di una palla ovale metterebbe la firma. Solo che se dovessimo dar retta alla vecchia cara parabola biblica dei talenti, il signor possessore della carriera descritta dovrebbe finire nelle tenebre, tra pianto e stridore di denti. Perché qui si parla di un giocatore baciato dal talento, da tanto talento. Forte, fortissimo, incontenibile. Bello, avventuroso, ribaldo, con un grande futuro davanti, uno che piace, a tutti e a tutte.

E si piace.

Forse troppo.

A 35 anni il ragazzo si batte ancora sul campo, forse più di quanto mai fatto, ma forse sta imparando a sopravvivere in assenza di una grazia che a lungo l’ha sostenuto, anche accantonata tra una bottiglia e qualche serata finita tra le braccia di una qualche Venere provvisoria. E chi lo guarda ha due scelte: la prima è sminuire la sua carriera “che poi tanto non era tutto sto granché”, ma questo lo si lascia fare a chi, forse, il rugby l’ha solo visto da distante, tra la pubblicità dell’adesivo per dentiere e qualche coltello miracoloso. La seconda è incazzarsi, anche un bel po’, perché il talento non è una cosa da sprecare, né da accantonare. Qui da queste parti ci si incazza, con Gavin Henson.

La pasta del ragazzo è buona davvero: nel 2001 è eletto miglior giocatore under 19 del mondo e debutta in Nazionale Maggiore. Certo, non è il Galles migliore, tanti titolari sono in Australia con i Lions, ma il ragazzino ha attirato le attenzioni di un certo Graham Henry, uno che negli ultimi 25 anni ha fatto molti favori alla palla ovale che conta. Il coach neozelandese nel 2001 è l’allenatore del Galles, preso in mano nel 1998 dopo che in Sudafrica si era assistita alla più grossa ecatombe di una Nazionale con le Tre Piume stampate sul petto in giro per il mondo, 96 a 13. Henry a quelle latitudini diventerà molto presto “The Redeemer Coach”, riportando la sua creatura a livelli più consoni. Il giovane Henson a settembre debutta anche da titolare, mediano di apertura contro la Romania. Il ragazzino è ancora acerbo, gli viene tolta anche la pressione dei calci, ma fa vedere che un giorno su di lui si può lavorare. Si fa tutta la trafila della Nazionale A, segnando anche i primi punti, nel frattempo gioca a Swansea e, nel 2003, fa il suo esordio con gli Ospreys. Henson è consistente, sa far tutto: ha appoggi meravigliosi, in corsa sembra non vada neanche a tutta e invece ha già seminato avversari come Tomba usava fare a Schladming e dintorni.

Angoli di corsa? Non ne parliamo.

Può giocare apertura, centro o estremo. Piede devastante, ogni volta sono sberle da 50 e passa metri. E piazza, soprattutto dalla distanza. E chi lo tiene uno così? Ritorna in Nazionale, ma per il Mondiale coach Steve Hansen sceglie altri.

Steve Hansen è QUEL Steve Hansen, ma l’aria britannica non deve avergli giovato molto, se a quel Mondiale rinuncia in un primo momento a un certo Shane Williams. Si rifarà, oh se si rifarà, ma questa è un’altra storia.

Nel 2004 l’esplosione e, cosa più importante, la considerazione internazionale. Il nuovo allenatore, Mike Ruddock, lo schiera fisso a primo centro, dopo averlo provato anche da estremo in estate. Contro il Sudafrica il Galles va in affanno nella prima mezz’ora, poi si sveglia, ma perde 38 a 36, togliendosi la soddisfazione di “mangiarsi” la mischia avversaria nel finale. Gavin segna le sue due prime mete internazionali. La prima è da rivedere tutte le volte che non riuscite a capire cosa sia la “vista periferica”: a 5 metri dalla linea di meta riceve palla da Stephen Jones, cambia angolo, rompe un placcaggio. È questione di centesimi di secondo: vede, o forse sente, arrivare un placcaggio disperato, frena nello spazio di una moneta da un euro, evita e schiaccia.

Avete letto tutto?

Ecco. Lui, a farlo, ci ha messo meno.

Contro il Giappone fa il suo record di punti in Nazionale, 28, frutto di 14 trasformazioni, poi arrivano gli All Blacks. Il Galles dà spettacolo e a lungo costringe gli avversari ad inseguire, poi però Joe Rokocoko e Kevin Mealamu prendono per mano tutti gli altri e passano avanti. Henson segna due piazzati, uno dalla distanza, ma si perde lo stesso 25 a 26. Per il 6 Nazioni ci sono anche loro.

Il debutto, sulla carta, è da brividi, al Millennium contro l’Inghilterra di coach Andy Robinson, che piano piano sta riuscendo a sostituire le vecchie glorie del Mondiale 2003. Ha trovato anche un numero 10 di ottimo livello, Charlie Hodgson, per provare a sostituire il divino Jonny Wilkinson, che proprio non riesce ad uscire dall’infermeria. Robinson al Millennium fa debuttare un ragazzino di 19 anni appena compiuti, Mathew Tait, stella del Seven e di Newcastle, e lo mette a secondo centro. Il ragazzino è veramente forte, proverà pure a farsi vedere, ma non ha fatto i conti con Gavin Henson: due volte punta il piede per andare all’interno, due volte Big Gav lo prende e se lo porta in giostra. Già, perché abbiamo parlato di appoggi, piede, velocità, ma Henson è mostruoso anche in difesa: placca, eccome se placca. Al Millennium apre le danze la meta di Martyn Williams, uno che se fosse nato al di qua delle Alpi faresti carte false per poterlo clonare: è una terza linea mostruosa per gambe e corsa, ma nel dubbio lo metteresti pure dietro, magari a centro, magari vita natural durante. Williams ha cambio di passo e direzione, usa nel caso anche il piede, è vtra le più veloci terze linee al mondo. Placcaggio terminale di serie. Sarà il giocatore del torneo. Hodgson risponde con tre piazzati, la partita è dura, durissima. A 5 dal termine c’è un calcio per il Galles da metà campo, saranno 52-53 metri,  in diagonale.

Dalla distanza va Henson.

Rincorsa ingobbita, il suo marchio di fabbrica, pallone alto e in mezzo ai pali.

Finisce 11 a 9, è il trampolino di lancio, sia fisico che morale, per il Grande Slam. Gli uomini di Ruddock infatti passeggiano in Italia e Scozia, espugnano Parigi con i drop di Henson e Stephen Jones e battono senza mezze misure l’Irlanda nell’ultimo incontro. È una squadra di fenomeni, dal già citato Martyn Williams a Stephen Jones e Shane Williams, da Dwayne Peel all’estremo Kevin Morgan, passando per Gareth Thomas. Passando, per forza, per Gavin Henson.

È il preludio per un Tour dei Lions in Nuova Zelanda che si prospetta spettacolare.

Ecco, beh, non proprio.

A selezionare gli uomini da Inghilterra, Irlanda, Galles e Scozia è Clive Woodward, che però non sembra aver guardato molto rugby in primavera. Fioccano le convocazioni inglesi, anche di giocatori palesemente fuori forma o comunque meno performanti di altri. I Lions vincono tutti gli incontri di metà settimana, quelli contro le franchigie, ma perdono i tre Test contro gli All Blacks e il match contro i Maori All Blacks. Gavin Henson subisce un paio di infortuni che ne limitano l’utilizzo: segnerà due mete contro Southland e prenderà il cap nel secondo Test contro i neozelandesi. È il giorno del Daniel Carter Show, 33 punti su 48 totali, 2 mete, 4 trasformazioni e 5 piazzati, ciao Lions. E ciao Gavin Henson, che vedrà la Nazionale solo nel Sei Nazioni successivo, ma che per un paio di anni non si riproporrà più agli stessi livelli. Nel 2007 non verrà convocato per la Coppa del Mondo, all’ultimo gli verrà preferito Gareth Thomas, ma Warren Gatland, nuovo ct gallese, lo vorrà per il Sei Nazioni 2008. Il ragazzo è forse al massimo delle sue potenzialità, e anche quel Galles fa paura: arriva un altro Grande Slam, con tanto di vittoria in rimonta a Twickenham nella prima giornata.

Il ragazzo è all’apice della carriera, qualcuno lo paragona, per talento e forza, a Brian O’Driscoll, già compagno di stanza nel tour dei Lions. Sono giocatori diversi, ma a livello di talento puro lo scontro è pari.

Piace a tutti e a tutte.

E si piace, anche un bel po’.

È proprio il grande O’Driscoll a raccontare di come una mattina, in Nuova Zelanda, il suo compagno di stanza Gav abbia occupato il bagno per 3 ore, uscendone completamente depilato e sbarbato, profumato all’inverosimile. Ed è il compagno di Nazionale Dwayne Peel a parlare di quando saltò un allenamento chiave in Nazionale per andare a farsi una lampada. Per poi dover subentrare a sorpresa contro l’Irlanda e non conoscere le chiamate. O di come sia abituato a massaggiarsi le gambe con una nota marca di acqua minerale francese. Certo, sono vizi che un campione può sostenere, a patto di garantire sempre il massimo in campo. Ma tutto ciò non succede, o almeno, non sempre. Nel 2009 Henson si prende un anno sabbatico per viaggiare un po’. Comincia anche la sua carriera televisiva, tra una specie di “Ballando con le Stelle” ed un reality in cui deve arrivare da solo a Capo Nord. Diventa un habitué delle pagine di gossip, che è sempre un bel ragazzo, lascia e si lascia andare. Dà una ritoccata alla sua vita personale, mettiamola così. Poi forse si rende conto che il rugby qualcosa gli aveva dato, e allora torna a giocare: se ne va dagli Ospreys e passa ai Saracens, ma la forma è quello che è e la dirigenza rescinde dopo pochi mesi. Lo prende il Tolone, ma una sera al pub si azzuffa con Matt Henjack, mediano di mischia. Il presidente, Mourad Boudjellal, lo sospende per un po’ e non gli rinnova il contratto a fine stagione. Il 13 agosto 2011 contro l’Inghilterra si gioca comunque un posto ai Mondiali, ma si infortuna ad un braccio e deve abbandonare i suoi sogni. Rob Howley, assistente di Gatland, lo chiamerà per dirgli che senza l’infortunio l’avrebbero anche preso. Ve lo immaginate cosa avrebbe fatto un Henson in discreta forma con QUEL Galles ai Mondiali?

Passa ai Cardiff Blues, ma di ritorno da una trasferta in aereo esagera ancora una volta con l’alcool e prende troppe confidenze con una hostess, il contratto viene rescisso seduta stante. A fine stagione viene acquistato dai London Welsh, squadra neopromossa in Premiership, poi passa a Bath, dove sembra tornare ai vecchi livelli di un tempo. Trova il tempo di farsi atterrare da Carl Fearns, suo compagno d squadra, al pub. A gennaio 2015, non trovando molto spazio, decide di passare al Bristol, in Championship. Big Gav vuole giocare di più, vuole la Nazionale e vuole il Mondiale a cui non ha mai partecipato. Ma anche questa volta deve rinunciare: in uno scontro di gioco si rompe la tibia e deve abbandonare il campo.

Il ragazzo lotta ancora, da settembre è a Newport a fare da stella cometa per i Dragons. A 35 anni forse non è più il ragazzo guascone e sopra le righe che per troppo tempo ha tenuto banco. Forse è maturato, forse no. Gli anni d’oro con la maglia numero 12 del Galles restano nei cuori di tanti, ma il tempo fa brutti scherzi e fa girare avanti le lancette dell’orologio anche se non lo vogliamo. C’è chi si fa sempre trovar pronto, chi meno. C’è chi sta sempre sul pezzo e chi viene sorpreso a fare anche dell’altro. C’è chi sputa polmoni e sangue per avere una possibilità e chi le butta via, una dopo l’altra, per un motivo o per l’altro. C’è chi festeggia per un cap in Nazionale e c’è chi ha fatto due Grandi Slam e ancora ha il motore ingolfato delle Ferrari prese per andare a fare la spesa due isolati più in là.

Due Sei Nazioni vinti con tanto di Grande Slam, 130 punti in Nazionale in 33 presenze, un Tour dei British & Irish Lions, più di mille punti segnati in carriera pur non essendo calciatore designato. Avesse avuto un’altra testa forse non sapremmo chi è Brian O’Driscoll, o forse ne sarebbe venuto fuori un duello di quelli generazionali, non solo a livello sportivo: Coppi-Bartali, Merckx-Gimondi, Beatles-Stones, Agassi-Sampras, O’Driscoll-Henson.

E invece no.

Gavin Henson è stato una cometa luminosissima, più di tante altre, di quelle che passano solo una volta ogni tanto ma di cui conservi sempre il ricordo. Ma ha deciso che un cielo solo, quello ovale, non era sufficiente. Ha ballato, bevuto, scopato, viaggiato. Un giorno ha messo il rugby da qualche parte, tra una bottiglia, una scazzottata, un reality e qualche Venere di una notte soltanto, come si fa con certe fotografie di quando eravamo più giovani e credevamo di avere il mondo in mano, quelle che un giorno riponi in un cassetto con la promessa di passare a riviverle il prima possibile.

Di quelle che ogni volta che le rivedi ti incazzi e ti chiedi perché non sei rimasto così.

Perché con Gavin Henson, e con quelli che cincischiano col proprio talento, ci si può incazzare, almeno per un po’.

I talenti (sprecati) di Big Gav